E-commerce mondiale a gonfie vele. Ma in Italia?
Leggevo su Repubblica.it il report entusiastico sulle venditenatalizie online pubblicato da Goldman Sachs, HarrisInteractive e Nielsen//NetRatings.
Secondo l'eSpending Report, a dicembre sono stati spesi18,5 miliardi di dollari sui siti di commercio elettronico,con un incremento del 35% rispetto a Natale dello scorsoanno.
E' il terzo anno consecutivo che l' e-commerce crescea due cifre, in una congiuntura economica tutt'altro cherosea.
Il settore trainante sembra essere quellodell'abbigliamento con 3,7 miliardi di dollari. Seguonogiochi e videogame (2,1 miliardi), elettronica di consumo (2miliardi), hardware e periferiche (1,6 miliardi), video e dvd(1,6 miliardi) con una crescita del 46 per cento.
E in Italia?
In Italia si confermano più o meno le stesse categoriemerceologiche (con in aggiunta accessori, attrezzi eabbigliamento dedicati al fitness e allo sport) e unatendenziale crescita degli acquisti, con un interessanteaumento del 20% del pagamento con carta di credito.
Ma, per parlare chiaro come siamo soliti fare, ci sono ancoradiversi problemi di diversa natura, che anche questo Natalesi sono presentati ineserabilmente.
Prima di tutto vi è un problema sistemico,appartenente alla natura stessa dell' e-commerceitaliano, sia da un punto di vista della domanda chedell'offerta.
Dopo la crisi degli ultimi anni, sempre meno sono i sitionline che vendono online al grande pubblico.
Non stiamo parlando del sito di una determinata azienda chequalche volta riceve anche ordini online, ma di veri e proprisiti che fanno del vendere online la loro unicafinalità.
Basta andare su alcuni siti di comparazione prezzi (anchequi, rispetto agli Usa, ma anche solo alla Germania, Franciao Inghilterra sono molti meno e di minor qualità) onavigare all' interno degli shopping online di grandisiti come Virgilio e Tiscali e ci si accorge che sono sempregli stessi gli operatori che pubblicizzano i loroprodotti.
E tra hardware, elettronica, sport, abbigliamento se necontano solo una trentina circa, alcuni dei quali grandiaziende (come MediaWorld) che utilizzano la vendita onlinecome uno dei tanti canali disponibili, altri siti di"aziende minori" per lo più targhetizzati supochi e predefiniti prodotti.
Mancano all'appello sia grandi nomi, marche ben note algrande pubblico, sia tante realtà minori che sonogià presenti online, ma che per vari motivi (diorganizzazione interna, di logistica, di scarsa conoscenza diInternet) esauriscono la loro presenza online nel loropiccolo sitarello e nell' uso della posta elettronica.
E vero, è già qualcosa anche questo, marispetto alle altre nazioni siamo davvero indietro.
Ad onor del vero, quella famosa trentina di siti che fannoe-commerce appaiono ben organizzati e con siti e sistemi dicustomer care capaci di soddisfare la clientela.
Ecco l'altro problema: la clientela
In Italia non c'è mai stata la culturadell'acquisto per corrispondenza, che èassolutamente diffusa da decenni., per esempio, negli StatiUniti.
Già l'utenza internet italiana capace di navigaread un certo livello non è elevata (e lo dimostrano isuccessi dei dialer truffaldini), se poi si aggiunge lamancanza di fiducia e l'avere negozi vicini e a portatadi mano, la difficoltà di vendere online èpresto spiegata.
Ci sono pochi negozi online, dunque, ma anche perchéla clientela non è vastissima.
In Italia si è fermi al fenomeno dello e-shopping:navigo su internet, comparo i prezzi e poi compro.
Provate a chiedere a qualche negoziante online, quanti utentivanno di persona a comperare la merce e a ritirarla; e questonel migliore dei casi, perchè spesso si confrontano iprezzi e i prodotti e poi si compera nel maxistore dellazona.
Proprio quello delle spedizioni è stato un altro deiproblemi che in questo Natale molti siti di e-commerce hannodovuto affrontare con una serie di ripercussioni, ovviamente,anche sugli acquirenti.
Intorno al 15-20 Dicembre le spedizioni sono entrate nel caospiù totale, con i più noti spedizionieri inritardo di alcuni giorni su numerose consegne, anche diprodotti deperibili(come quelli alimentari).
Senza dimenticare gli alti costi che le spedizioni in Italiahanno ancora.
E questa è una delle principali ragioni (insieme aproblemi organizzativi) per cui i siti italiani vendono condifficoltà all'estero, mentre dall'estero(vedi soprattutto Germania, Inghilterra e Usa) numerosi siticercano di vendere in Italia.
Basta fare un giro su Ebay.it e vedere quanti prodottielettronici sono ultimamente disponibili, venduti da aziendetedesche. E poi quanti siti e-commerce italiani sono tradottialmeno in inglese e hanno i costi di spedizione perl'estero?
Molti siti esteri, invece, sono tradotti non solo ininglese, ma anche in almeno altre due lingue straniere!
Con questo non voglio assolutamente dire che l'e-commercein Italia non sia crescita o sconsigliare l'apertura diun sito e-commerce, anzi!
Però è giusto dire che rispetto a gran partedell'Europa e agli Stati Uniti, il nostro e-commerceè ancora poca cosa e che quello a cui stiamoassistendo è sola una "piccola" crescitadestinata a diventare molto più consistente neiprossimi anni (come sta accadendo nelle Nazioni sopra citate)se si avrà una reale e maggiore diffusione di Internete della "cultura di internet" sia tra le aziendeche potenzialmente potrebbero vendere i propri prodottionline, sia tra le famiglie importanti e fondamentalipotenziali compratori online che ancora scarseggiano.
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