Dove va l'hosting italiano?

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Hosting italiano, tante novità concentrate in questo scorcio di fine 2005. Le offerte e le soluzioni si diversificano. È segno, da una parte, che il mercato italiano sta diventando più maturo. Dall'altra, è evidente anche che ci sono posizioni discordanti, tra gli operatori, su come sia meglio soddisfare le esigenze degli utenti. Di certo c'è che il mercato si va vivacizzando.

NGI tenta la strada di un prodotto noto all'estero ma mai sperimentato in Italia: l'hosting dedicato virtuale. Aruba, primo operatore in Italia per numero di siti in hosting, è invece scettico e preferisce insistere su soluzioni tradizionali, presentandole però in salse diverse. Tra l'altro, proprio nei giorni scorsi Aruba ha cominciato il proprio piano di espansione in Europa, acquistando Forpsi, operatore di hosting nelle repubbliche Ceca e Slovacca. L'hosting però non è soltanto ospitare siti web.

Una delle nuove tendenze, in Italia, è infatti l'interesse crescente delle aziende per il cosiddetto hosting gestito (managed hosting) e in particolare per le soluzioni di disaster recovering e business continuity. L'idea è far sì che il business dell'azienda non si fermi mai, anche se c'è stata un'ecatombe di server o si è allagato l'ufficio. È un mondo che potrebbe essere innovato dall'arrivo, in Italia da gennaio, di un nuovo operatore, di rilevanza europea: Interoute, proprietario di una rete paneuropea che consta di 28.000 chilometri di fibra ottica. Promette una guerra dei prezzi. Ad accoglierlo è un mercato dove a farla da padroni sono Telecom Italia e (al secondo posto) Inet, che promette di perfezionare l'universo della business continuity. Sono novità che potranno interessare le aziende di tutte le dimensioni.

I nuovi prodotti di NGI e Aruba sono rivolti invece perlopiù a utenti residenziali, professionisti o piccole aziende.

"Noi abbiamo lanciato a settembre la prima soluzione di server dedicato virtuale in Italia", dice Luca Spada, amministratore delegato di NGI. Si tratta dell'offerta Virtuo. Che cosa significa server dedicato virtuale? In Italia sarà pure una novità, ma all'estero non lo è: è una via di mezzo tra due forme tradizionali di hosting, quello dedicato e quello condiviso. Con l'hosting dedicato, all'utente viene dato un computer tutto per lui, che può gestire in autonomia. L'hosting condiviso è invece uno spazio in un computer dove ci sono altri utenti e quindi offre una capacità di controllo sul server limitata.

Con l'hosting virtuale dedicato si è in una macchina condivisa, ma con uno spazio virtuale dedicato tutto a un solo utente. Un software di virtualizzazione ha creato infatti tanti server virtuali in quella macchina; e ciascun server può essere gestito in autonomia (da remoto) da un singolo utente. (Quasi) come se fosse una macchina a sé stante. Anche la Cpu e la Ram, come lo spazio disco, sono dedicate al singolo utente; in caso di saturazione delle risorse, NGI darà priorità agli utenti che hanno acquistato l'offerta più cara.

Ce ne sono tre e si parte da 18 euro al mese, "il che è più caro rispetto all'hosting condiviso ma meno caro rispetto a quello dedicato", dice Spada. "Offriamo un servizio di back-up incluso nel prezzo- aggiunge Spada- e in caso di disastro possiamo ripristinare i dati dell'utente in pochi minuti. Con un hosting dedicato fisico questo servizio sarebbe molto più caro". Spada crede molto in questa novità: "Vi abbiamo investito 500.000 euro, per le infrastrutture. Ora i nostri server IBM Blade possono ospitare fino a 6.000 server virtuali".

La cosa non convince però Aruba: "18 euro per un server virtuale? Che senso ha, quando l'utente può acquistare a 30 euro al mese un server fisico dedicato, che è certo meglio di uno virtuale?", dice Stefano Cecconi, titolare di Aruba. "Il punto è che il nostro mercato riesce a fare prezzi di hosting molto più bassi rispetto a quelli americani o di altri Paesi europei. Per questo motivo da noi l'hosting virtuale ha poco senso".

Gli utenti di un server virtuale di NGI possono però avere alcuni servizi di sicurezza centralizzati (firewall, intrusion detection) che, nel caso di hosting dedicato, dovrebbero essere installati personalmente. È una comodità per chi preferisce delegare queste incombenze agli operatori. Cecconi è più affezionato a soluzioni di hosting tradizionale, fisiche, ma comunque crede importante rendere più automatici e semplici alcuni servizi. A settembre ha lanciato infatti Aruba Nuke, che non c'entra niente con la bomba atomica ma è un servizio per semplificare la vita ai webmaster pigri. "Permette di creare e mantenere un sito web dinamico o complesso (portal) senza alcuna conoscenza di programmazione o grafica", dice Cecconi. "Semplicemente il cliente troverà l'applicazione preinstallata e completamente configurata, pronta all'uso ed alla personalizzazione. In pratica il cliente è tenuto solo ad immettere il suo vero valore aggiunto: il contenuto. Al resto pensiamo noi". Aruba Nuke costa 10 euro all'anno IVA esclusa.

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