Assumere informatici anche i migliori e poi non saperli gestirli, motivarli e tenerli aggiornati. Succede in tante, troppe aziende (Parte II)
<< LEGGI LA PRIMA PARTE DELL'ARTICOLO <<
Il secondo stadio della Sindrome di Dilbert èl'indifferenza.
Avendo tentato in tutti i modi "razionali edonesti" di farsi notare, Dilbert si rassegna epassivamente ed accetta qualsiasi cosa ma prima, comeultimissima chance, va a lamentarsi con il Personale.È bello vedere come il capo del Personale quasi nellastessa vignetta riceva prima il capo di Dilbert esuccessivamente Dilbert, e dia ragione ad entrambi!Ovviamente il capo del Personale si astiene da qualsiasiazione concreta, ma è molto prodigo di consigli e disorrisi per tutti.
È fin troppo chiaro al nostro Dilbert che anche ilcapo del Personale fa parte della piramide di muri di gommache dovrebbe scalare prima di vedere il suo pensierogratificato.
A questo punto Dilbert si arrende, riflette sulla suasituazione, e decide di trovarsi un cantuccio in aziendaaspettando la pensione e godendosi gli inutili sforzi dei neoassunti per fare carriera.
E qui penso che tutti abbiano notato la dissonanza tra leazioni dell'HR-Recruiting (ossia di assunzione di risorseumane) con le azioni del HR-Developing (formazione e sviluppodelle risorse umane). In pratica, la stessa impresa da unaparte pretende requisiti impossibili per procacciarsi imigliori talenti sul mercato; ottimo voto di laurea, Master,un'esperienza lavorativa breve ma significativa,età non superiore ai 25 anni e poi, una volta assunti,li abbandona completamente a se stessi ed alla loro buonasorte, trasformando i talenti come Dilbert in corpi in attesadi pensione.
È comese in azienda entrassero cellule staminali e poi, l'unicouso che se né fa è quello di realizzare zombie.Un esempio chiarissimo di questo processo èl'assunzione nell'organizzazione Statale. Occorrevincere un concorso per essere assunti, risultare il miglioretra tutti, superare molte prove, e poi una volta assunti sirimane nello stesso posto per sempre, senza che nessunaazione possa portare ad un cambiamento. Il simbolo di questoprocesso è l'impiegato delle poste, colui il qualeha come obiettivo quello di arrivare a fine giornata, bensapendo che se quel giorno realizza 1.000 azioni o nessunaper Lui non cambierà mai nulla.
Il nostro Dilbert è, però, una personadiversa, un innovatore, una persona che risolve, per Luistarsene con le mani in mano è qualcosa che va controla sua natura e perciò, dopo un po' di tempo,questa fase d'apatia passiva, diventa apatia attiva.
In pratica Dilbert passa dall'ostruzionismo passivo aquello attivo.
Questo atteggiamento è ben visibile nel collega diDilbert che riesce immancabilmente ad evitare qualsiasi tipodi coinvolgimento in qualsiasi attività, anche laminima, eccetto per le riunioni, specie quelle moltonumerose, dove per loro stessa composizione èimpossibile decidere qualcosa.
Il collega di Dilbert, perennemente con una tazza dicaffè in mano a significare che qualsiasi Vostrainterferenza sarà intesa come un disturbo durante lasua sacra pausa, mette in pratica una serie infinitad'azioni personali per evitare che possa essere ritenutoresponsabile della ben che minima cosa.
Questa tattica nelle Dilbert's company è moltousata- Per farvi un esempio, io ho avuto un collega inpassato che riusciva a passare le giornate con la testasempre rivolta verso la tastiera per evitare che qualcuno lopotesse coinvolgere in qualcosa. Una volta l'ho dovutodisturbare per chiedere se potessi...non mi ha fatto finirela frase, mi ha detto "mandami un'email sono troppooccupato adesso, quando ho tempo ti rispondo". (Glivolevo chiedere se potevo aprire la finestra dellastanza).
La Sindrome di Dilbert è molto contagiosa. In pocotempo riesce a trasmettersi a tutti i colleghi di tutti icompartimenti generando un'inutile ed incredibileEntropia il cui unico scopo è quello di trovare unsenso a ciò che ogni giorno si fa in ufficio.
Anche la stessa Alta Direzione non è immune a questaSindrome. Gli unici a non esserne contagiati sono le pochepersone che lavorano indefessamente per produrre qualcherisultato concreto, con costi personali altissimi; infatti,spesso le persone che si sono sacrificate per una nobilecausa o muoiono per stress o malattia.
Il successo di Dilbert negli anni è proprio nel fattoche i personaggi della striscia sono perfettamentericonoscibili in ogni realtà aziendale.
La comica tragica realtà è che questesituazioni, che costano alle imprese moltissimo in termini diproduttività e d'innovazione, sono anche lepiù difficili per un'azienda da rilevare senza unintervento esterno che aiuta l'impresa a capire comelavora e come è posizionata sul mercato.
Filiali italiane d'imprese estere hanno per tradizionel'ispezione biennale da parte di una societàesterna, scelta dalla casa madre sul clima aziendale e sullavoro che le persone svolgono.
Le conclusioni cui arrivano queste societàspecializzate sono spesso sorprendenti, e le azionicorrettive proposte portano a notevoli cambiamenti sianell'organizzazione, sia nel rapporto Capo-Collaboratore,sempre che però sia abbia il coraggio perrealizzarle.
Infatti la cura per un cancro come la Sindrome di Dilbertè spesso l'amputazione di molti rami dirigenzialied un senso di smarrimento che solo l'iniezione dirobusti sani inneschi di sana imprenditoria puòeliminare generando quel valore aggiunto che è propriodi un'azienda in salute.
<< LEGGI LA PRIMA PARTE DELL'ARTICOLO <<
- Articolo precedente Contratto per informatici: i sindacati sono scettici, manca un albo e criteri omogenei e distintivi. La soluzione non sembra essere vicina
- Articolo successivo Programmatore italiano andare a lavorare all'estero....conviene? Intervista a chi l'ha fatto