Lavorare nel settore informatico e ICT conviene ancora?

L’autore di questo articolo ritiene chegli studenti specializzandi in materie informatiche,preoccupati per la sempre maggiore esternalizzazione dellavoro, non dovrebbero affatto angustiarsi per il lorofuturo.

Secondo Moshe Vardi, Professore della RiceUniversity: “C’è un’enormedifferenza tra la percezione e la realtà. Oggi ci sonopiù lavori nel settore IT di quanti non ce ne fosserosei anni fa, al culmine del boom informatico”.Vardi ha presentato alcuni risultati di un suo studio sullamigrazione globale dei lavori nel settore informatico ,commissionato dall’Associationfor Computing Machinery, la più antica e rinomatadelle associazioni scientifiche ed educazionali dedicate alcalcolo automatico e all’informatica.

Vardi ha co-presieduto una task force di economisti,esperti in scienze sociali, esperti informatici, che hannotrascorso un intero anno studiando tutti i dati disponibilisull’impatto globale della delocalizzazionedell’industria informatica, giungendo alla conclusioneche l’informatica è ancora una buona scelta distudio e lavoro.

“L’informatica offre ancora buonepossibilità di carriera”, ha dichiarato Vardi.“Non c’è niente da temere, se non la paurastessa della competizione”.

I precedenti dati avevano generato la convinzione che ilmondo del lavoro non stesse aspettando nuovi laureati ininformatica. Ma, se guardiamo all’aumento dei salari edalle offerte di lavoro presenti, questa credenza sembrasmentita. Le statistiche dell’Ufficio del Lavoroindicano che le aziende stanno creando nuove tipologie diimpiego nel settore IT con la stessa velocità con cuimolte figure professionali vengono esportateall’estero.

La presenza dell’informatica sta diventandosempre più pervasiva nella nostra società, perquesto lo studio ritiene che le possibilità di impiegoper gli informatici cresceranno, soprattutto in quei settoriin cui per adesso la presenza di figure tecniche èbasso, come ad esempio l’edilizia, il settoresanitario, la vendita al dettaglio.

Vardi ha anche detto: “I salari per i programmatori diapplicazioni ha continuato a salire ogni anno dal 2001 adoggi”.

La delocalizzazione, secondo lo studio, è un sintomodella globalizzazione. Così come i miglioramenti neisistemi di trasporto hanno aperto al mondo il mercatodell’agricoltura, così i miglioramenti nellatecnologia e negli standard informatici hanno reso possibiilel’esportazione del lavoro a livello globale. SecondoVardi: “Ora puoi mangiare una banana dal Cile;Questo non era possibile prima che arrivasse il trasportoaereo. Allo stesso modo ora le tecnologie di comunicazionepermettono il trasporto del lavoro”.

Alcune delle sfide “emozionali” che ilpopolo ha affrontato durante la Rivoluzione Industriale sonosimili alle preoccupazioni che molti affrontano ai giorninostri. Secondo Vardi stiamo attraversando unperiodo di profondo cambiamento, ed è meglioaccettarlo: “La delocalizzazione è comel’inverno. Non ti chiedi se è brutto o bello -ti chiedi semplicemente come affrontarlo, e la rispostaè: vestirsi più pesanti”.

Senza investimenti in ricerca e sviluppo, i leadernella tecnologia come gli Stati Uniti potrebbero perdere leloro posizioni dominanti, Vardi avvisa: “Dobbiamoinnovare, o soccomberemo”. Inutili e dannose sono anchele politiche protezionistiche, come quelle controgli scambi di studenti stranieri. “Non c’èdomanda a cui gli Stati Uniti abbiano risposto bene comehanno fatto nel settore IT, abbiamo aiutato talenti di tuttoil mondo. Ora gli studenti internazionali stanno optando perstudiare in Europa o Canada, onde evitare i problemi deipermessi USA. Non dobbiamo dare per scontato che le personevogliano venire qui”.

Questo è ciò che succede negli USA, edin Italia invece, qual’è la situazione?Sicuramente in Italia non si investe in ricerca edinnovazione, siamo quindi destinati asoccombere? Io a volte temo di si.L’Italia non ha creato niente di importante nelsettore informatico, non ha creato niente di innovativonemmeno nel cosiddetto web 2.0.

Il mercato italiano è costituito da societàpiccole o piccolissime che si limitano per lo più afare banali software utilizzati da una ristretta cerchia diclienti. Il settore pubblico è “appaltato”a poche società dotate dei giusti“agganci”, ed in grado di chiedere cifre fuoridal mercato (come i 45 milioni dieuro spesi per il portale del turismo, che tral’altro ancora non funziona!), ma inrealtà queste aziende non producono alcunainnovazione.

In Italia i bravi programmatori non mancano, maè vero anche che ci sono troppi, davvero troppi,pseudo-tecnici ed esperti improvvisati, i quali rovinano ilmercato abbassandone la qualità media e riducendo diconseguenza i potenziali profitti delle imprese che cercanodi puntare sulla qualità del prodotto, i clienti aloro volta sono poco esperti e mal consigliati, e questo nonmigliora affatto la situazione.

Eppure, nonostante tutto, ho l’impressione che anche inItalia il settore informatico dia piùpossibilità e più sbocchi di molte altreprofessioni; certo gli stipendi sono bassi (a volte al limitedel ridicolo), i lavori sono precari, spesso si ècostretti ad essere “tuttologi” (l’idea cheweb-designer e programmatore siano due persone distinte eseparate è un concetto inaccettabile in Italia), devicombattere con un’ignoranza inversamente proporzionalealla supponenza, ma le offerte di lavoro ci sono, piùche in altri settori.

Dario Banfi

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